Nel terzo trimestre dell’anno sono stati investiti nell’immobiliare italiano circa €2 miliardi, portando il volume dei primi nove mesi a €6 miliardi. Ciò è quanto emerge dai dati preliminari di Cushman & Wakefield (NYSE: CWK), una delle principali società globali di servizi immobiliari. Il volume dei primi nove mesi registra una contrazione del 20% rispetto allo stesso periodo del 2019, anno record per l’immobiliare italiano, ma è in linea con i volumi del 2018.
Il settore degli uffici ha attratto poco meno del 50% dei volumi totali, confermandosi tre le asset class più resilienti e registrando un incremento del 10% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. La logistica, con quasi un miliardo di Euro, ha raddoppiato il volume rispetto allo scorso anno e si prepara a chiudere il 2020 su livelli record. La forte competizione tra investitori e il livello di offerta ancora insufficiente a soddisfare la domanda hanno contribuito ad un’ulteriore compressione dei rendimenti prime, sotto la soglia del 5%.
“Il mercato ha reagito meglio di quanto previsto all’inizio di questa pandemia, e i numeri lo confermano. Esiste ancora un’abbondante liquidità ed un contesto generale di tassi bassi che rendono l’immobiliare un settore appetibile per chi cerca rendimenti”, ha dichiarato Carlo Vanini, Responsabile della divisione Capital Markets in Italia per Cushman & Wakefield. “L’incertezza comunque permane e questo porta gli investitori, da un lato, a strategie di investimento più difensive che hanno premiato operazioni core / core + nel settori uffici e logistica e, dall’altro, alla ricerca di una maggiore diversificazione che sta spingendo i volumi degli investimenti in asset class alternative favorendo la nascita del settore residenziale come asset class immobiliare “istituzionale”: tra sviluppi e costruito, includendo anche lo student-housing, gli investimenti stimati nel living nei primi nove mesi rappresentano oltre il 5% del totale”.
L’hospitality ed il retail, insieme, hanno rappresentato circa €1.8 miliardi del volume totale, una forte contrazione rispetto allo scorso anno, pagando maggiormente l’incertezza generata dalla crisi sanitaria e le difficoltà incontrate da consumatori e turisti come conseguenza del lockdown durato tre mesi. “Vediamo che gli investitori hanno atteggiamenti differenti relativamente a hospitality e retail ”, conclude Carlo Vanini, “sull’hospitality l’interesse rimane forte, pur se da una prospettiva più opportunistica, in quanto il sentiment per il futuro è positivo; sul retail la visione è più prudente ma l’interesse continua ad esserci, pur rimanendo legato al futuro andamento dei fondamentali del settore, fondamentale per poter prendere una visione più precisa".